8 marzo 2019
Appello per lo sciopero generale e la mobilitazione unitaria
Comincerà a breve il circo mediatico delle dichiarazioni di buoni propositi per l’8 marzo, accompagnate dalle inevitabili falsificazioni sul valore di questa giornata. L’8 marzo non è, e non deve passare, come una ricorrenza da calendario in cui le donne, ignorate per il resto dell’anno, vengono ricordate per un solo giorno, magari in innocui momenti “istituzionali” che non servono certo a cambiare le loro condizioni di vita e di lavoro.
Vogliamo recuperare il vero senso di questa giornata che trae origine dalle lotte delle donne lavoratrici contro l’oppressione e lo sfruttamento, così come da qualche anno sta accadendo in diverse parti del mondo. Esemplari in questo senso sono state le imponenti manifestazioni e mobilitazioni dello scorso anno in Spagna, in Argentina, negli Stati Uniti e anche qui da noi in Italia (nelle grandi manifestazioni promosse da Non Una di Meno) dove strade e piazze sono state invase da donne ed uomini al grido di “abbasso il maschilismo e lo sfruttamento”, cui si sono sommate tutta un’altra serie di richieste: diritto pieno e gratuito all’aborto, a lavoro uguale salario uguale, contro i piani di austerità ed i tagli ai diritti delle lavoratrici e dei lavoratori che si stanno effettuando in tutti i Paesi.
E non è un caso che ciò stia avvenendo.
Le donne lavoratrici stanno pagando il prezzo più alto della crisi economica che ormai da dodici anni sconvolge i quattro angoli del globo. Sono le prime ad essere licenziate dai posti di lavoro, sono le prime alle quali vengono tagliati stipendi e salari, sono le prime che devono fare i conti con i tagli ai servizi sociali. Infatti la riduzione continua dei finanziamenti pubblici alla scuola, alla sanità, alle pensioni, le riforme del lavoro e le privatizzazioni hanno un doppio effetto devastante per le donne lavoratrici: le costringono sempre di più tra le mura domestiche, a volte privandole dell’indipendenza economica, per occuparsi dei figli, degli anziani, degli invalidi e per svolgere tutte quelle mansioni domestiche dalle quali con fatica, e solo parzialmente, si sono emancipate dopo decenni di dure lotte e di conquiste sociali; mansioni di cui lo Stato non vuole più occuparsi, troppo impegnato a garantire i profitti per le grandi multinazionali.
Ma non è tutto. Un altro frutto avvelenato prodotto da questa infinita crisi è quello dell’aumento esponenziale delle violenze contro le donne. Omicidi, violenze, maltrattamenti di ogni tipo sono senz’altro endemiche in una società divisa in classi. Tuttavia la crisi ne ha causato una preoccupante crescita. Il peggioramento delle condizioni di vita, la precarietà lavorativa e tutti i fattori che deteriorano le condizioni economiche delle famiglie fanno sì che ricadano sulle donne lavoratrici, oltre alle responsabilità domestiche, le pressioni e le frustrazioni dei loro compagni impossibilitati a migliorare le proprie condizioni. Le donne lavoratrici, native e soprattutto immigrate, sono maggiormente colpite da questa situazione proprio per la loro collocazione sociale. In caso di violenza fisica e psicologica, pur lavorando non dispongono comunque dei mezzi necessari per emancipasi dal proprio aggressore (quasi tutti i casi oggi di violenza di genere, riguardano donne di quartieri popolari o donne immigrate; la stragrande maggioranza di casi di violenze sessuali e molestie, avviene da parte di uomini in una situazione di lavoro di privilegio rispetto a donne operaie al “servizio” dei loro aggressori o molestatori).
Oggi più che mai la lotta per l’emancipazione e per i diritti della donna lavoratrice è intimamente legata alla lotta contro questo sistema economico e sociale, che a parole dice di voler rappresentare tutti gli strati sociali ma in realtà si preoccupa solo di tutelare gli interessi di una infima minoranza di privilegiati che può continuare a prosperare sulle spalle di milioni di sfruttati, donne in prima fila.
Le rivendicazioni specifiche delle donne lavoratrici devono essere difese dalle organizzazioni dei lavoratori, dagli uomini e non solo dalle donne, all’interno di esse perché ogni diritto strappato alle donne è un sopruso in più ai danni dei diritti di tutti i lavoratori. Tutti i lavoratori impegnati nelle lotte contrattuali e di rivendicazione salariale, devono avanzare rivendicazioni anche sulla questione “di genere” perché tali questioni non riguardano solo le donne: non procedere in questa direzione significa assecondare le manovre dei padroni che non si limitano a controllarci quando lavoriamo, ma ci impongono i loro tempi e i loro metodi anche nell’area sociale e in quella privata. Uomini e donne, lavoratori e lavoratrici, sono entrambi oppressi e sfruttati, insieme devono lottare per vincere.
Del resto la simbologia dell’8 marzo storicamente nasce dalle lotte operaie di inizio 900 in Inghilterra, Stati Uniti e Russia dove le sommosse di marzo furono fondamentali per sviluppare il percorso che portò alla Rivoluzione d’ottobre.
In Italia l’8 marzo è inoltre data emblematica della resistenza antifascista: infatti l’8 marzo del 1944 culmina lo sciopero generale indetto da Usi che contro il regime fascista bloccò servizi e trasporti.
In un momento dove l’attacco del nemico di classe si fa più intenso contro le condizioni di vita dei lavoratori e contro le libertà di dissenso e di mobilitazione attraverso l’infame strumento del decreto Salvini, è necessario accomunare le rivendicazioni delle donne con quelle di lavoratori e lavoratrici.
Per queste ragioni facciamo appello a donne e uomini, movimenti e organizzazioni, a rilanciare e sostenere la data dell’8 marzo, supportando le mobilitazioni e partecipando unitariamente e dentro, uniti e compatti spezzoni del lavoro, a cortei e iniziative.
In particolare chiediamo ai sindacati di base e conflittuali, di proclamare lo sciopero generale per la intera giornata dell’8 marzo, come avverrà in tanti altri Paesi del mondo.
L’8 marzo dovrà diventare una giornata di mobilitazione contro i padroni e contro il governo Lega – M5stelle che come quelli che lo hanno preceduto prosegue le politiche di austerità e di sfruttamento, familiste e maschiliste, che hanno raggiunto col decreto sicurezza e con il decreto Pillon il loro livello più meschino.
Donne in Lotta
Fronte di Lotta No Austerity