La pandemia, la fase 2 e le donne
Riceviamo e volentieri pubblichiamo questo articolo di Cub Donne
Anche se il virus sembra colpire le donne in maniera meno grave dal punto di vista delle percentuali di infezione, l’isolamento a cui la pandemia ci costringe da settimane è invece particolarmente pesante, sia per quante stanno continuando a lavorare, sia per quelle che, invece, hanno dovuto interrompere l’attività.
Il settore dei servizi, che, sebbene sviliti e sottopagati, si sono rivelati indispensabili, è occupato per due terzi da donne: mediche, infermiere, operatrici socio sanitarie e assistenziali, commesse, addette alle pulizie, che ogni giorno mettono a rischio la propria salute, la propria vita e quelle dei propri familiari, in luoghi di lavoro in cui troppo spesso non viene garantita la sicurezza.
Anche lo smartworking per le donne è meno smart, soprattutto per quante vivono in spazi limitati e devono ingegnarsi con i propri mezzi per rispondere a una email, mentre cambiano un pannolino, fare una lezione mentre preparano il pranzo, redigere un bilancio, mentre aiutano i figli a ripetere le tabelline o accudiscono un genitore anziano. La situazione è ancora peggiore per le donne separate, che nel 90% dei casi, hanno in affidamento i figli.
Tantissime sono, invece, le donne che hanno dovuto smettere di lavorare e stanno subendo gravi ripercussioni economiche, o perché rimaste completamente senza reddito, se lavoravano con contratti precari o in nero, oppure perché gli ammortizzatori sociali coprono solo l’80% dei salari, che già di norma non superano le poche centinaia di euro.
Per alcune, poi, l’obbligo di restare a casa si è trasformato in una tragedia. L’isolamento sta inasprendo situazioni di violenza, aggravate dallo stress, dalla frustrazione, dalle difficoltà economiche, come testimoniano le cronache degli ultimi giorni.
Tuttavia le conseguenze socio economiche sulle donne rischiano di farsi sentire anche nel medio lungo periodo. La task force del Governo (peraltro composta quasi esclusivamente da uomini) che si sta occupando di riprogrammare la fase 2, in risposta alle pressioni dei ricchi industriali (che tra l’altro hanno ricevuto centinaia di miliardi dalle casse pubbliche), prevede l’apertura scaglionata di tutte le fabbriche e aziende (incluse quelle che producono merci per nulla indispensabili). Nella stragrande maggioranza delle aziende è prevedibile che non ci saranno misure di protezione adeguate: il Protocollo sicurezza firmato da Cgil, Cisl e Uil lascia di fatto piena libertà alle aziende di decidere che misure attuare. L’apertura delle fabbriche, oltre a provocare una nuova esplosione dell’epidemia, avrà inoltre ulteriori conseguenze drammatiche sulle vite delle donne. Considerando che le scuole non potranno essere riaperte per evitare l’ulteriore aggravarsi dell’epidemia, il governo non ha previsto soluzioni alternative. Dal 4 maggio rientrano a lavoro 2,7 milioni di lavoratori, il 72% dei quali sono uomini. Ciò significa che saranno principalmente le donne, che già svolgono il 75% del lavoro non retribuito, a doversi far carico della cura della casa, dei figli e dell’assistenza nella didattica a distanza. Sarà ancora più arduo conciliare il lavoro retribuito con quello di cura; molte famiglie saranno costrette a scegliere e, dal momento che le donne svolgono prevalentemente attività con salari più bassi, il loro lavoro sarà quello più facilmente sacrificabile.
La pandemia sta facendo emergere le profonde disuguaglianze di cui si nutre il sistema capitalistico e patriarcale e rischia di rafforzare la rigida divisione dei ruoli, che assegna alle donne, in maniera esclusiva, il lavoro domestico e di cura, vanificando i progressi ottenuti a fatica.
Per migliorare la qualità della nostra esistenza è necessario inoltre rimuovere i fattori che hanno alimentato la diffusione della pandemia; a partire dai territori padano-veneti vanno riconvertite quelle attività economiche produttive che hanno reso ormai i livelli d’inquinamento letali, iniziando dal trasporti a combustione e dall’agricoltura (ed allevamenti) intensiva. Tutto questo conferma che non è sostenibile anteporre gli interessi di lobby economiche al diritto alla salute ed alla vita.
Anche se in questo momento i nostri corpi sono distanti, non possiamo permettere che si riporti indietro l’orologio della storia. Non cadremo nel tranello di contrapporre le esigenze delle madri a quelle delle insegnanti, un destino biologico delle donne, non baratteremo la sicurezza con un reddito! Se le scuole il distanziamento è inapplicabile, se persino a settembre sarà difficile riaprire gli istituti scolastici, è perché i governi hanno fatto tagli miliardari alle scuole, aumentando il numero di studenti per classe (“classi pollaio”) e penalizzando l’edilizia scolastica (già in una situazione ordinaria non ci sono aule a sufficienza per tutti gli alunni!).
Chiediamo un alloggio garantito e gratuito per tutte le donne che escono da situazioni di violenza, perché nessuna sia lasciata sola o sia costretta ad accettare maltrattamenti.
Rivendichiamo condizioni di lavoro sicure e dignitose e forti aumenti salariali per le lavoratrici e i lavoratori dei servizi essenziali, che hanno continuato ad assicurare le prestazioni ogni giorno, con il timore di infettarsi di essere veicolo di infezione per i propri cari.
Pretendiamo un welfare inclusivo e accessibile, perché il lavoro riproduttivo non può essere considerato un “destino biologico” per le donne.
La fase 2, oltre a mettere a rischio le vite dei dipendenti, si tradurrà in una completa riorganizzazione delle attività produttive, che provocherà una dilatazione dei tempi. È necessario, oggi più che mai, ripensare l’organizzazione del lavoro, riducendone l’orario a parità di salario.
Rivendichiamo, infine, un reddito di base per quante e quanti si fanno carico del lavoro domestico e di cura, affinché venga riconosciuto il valore della riproduzione sociale, che oggi è stimato in 10,8 trilioni di dollari nel mondo.
Questa crisi deve essere l’occasione per ripensare completamente il sistema economico e sociale che oggi sfrutta e opprime i soggetti più deboli, donne, migranti, lavoratori, e acuisce le disuguaglianze, depredando l’ambiente. Occorre unire e rafforzare le nostre lotte contro ogni forma di oppressione, violenza e sfruttamento.