Il ministro Valditara
di Giovanna Lo Presti
Come molti dei nostri politici, Valditara ha fatto parecchio parlare di sé in questo anno e (quasi) mezzo del suo mandato. Se in concreto dovessi spiegare a qualcuno che non conosca la scuola dall’interno cosa abbia fatto Valditara sarei tentata di rispondere “nulla”. Da trent’anni a questa parte la scuola italiana si caratterizza essenzialmente per una grande continuità gestionale che, ad un occhio profano, appare come continuo cambiamento. In realtà, vista l’impossibilità di realizzare immediatamente il progetto regressivo che si è affermato all’inizio degli anni Novanta e che, con la copertura ideologica del grezzo pensiero neoliberista, avrebbe poi portato al declino dello Stato sociale, di cui oggi vediamo gli esiti, chi comandava ha preferito erodere l’istituzione scolastica facendo finta di migliorarla “modernizzandola”. La nostra controparte non ha avuto incertezze, deviazioni, flessioni ed ha visto nella scuola un ganglio vitale da infettare con i germi dell’utilitarismo e della messa a profitto, trasformando così l’istituzione che più di tutte avrebbe potuto promuovere mobilità sociale ed emancipazione in un mero recinto contenitivo dei più giovani. Valditara non è che una pedina in questo ambizioso disegno che i ceti dominanti perseguono da tempo.
Le sue esternazioni iniziali hanno dato la misura intellettuale dell’uomo: approdato al Ministero ne ha subito cambiato la denominazione da “MIUR” a MIM, e cioè “Ministero dell’istruzione e del merito”. Giusto per sottolineare che il professor Valditara abbraccia una visione meritocratica che, tra le tante “visioni”, è forse la più angusta. Credo si sia tutti d’accordo nel dire che la misurabilità del “merito” sia aleatoria. Se studio dieci ore perché fatico a capire ho più o meno merito del mio compagno che studia la metà del tempo ma ottiene identici risultati? Se fatico a capire perché in famiglia si parla soltanto in dialetto mentre a casa della mia compagna di banco tutti parlano un italiano colto lei ha più merito di me perché ottiene voti più alti? Insomma, soltanto per la stirpe inestinguibile dei cretini il “merito” è facile da misurare ed è fuor di dubbio che il primo compito della scuola sia formare i giovanissimi, educarli, insegnare loro ciò che è necessario per diventare adulti, appianare le differenze legate all’estrazione sociale, economica, culturale.
La seconda mossa di Valditara non fu migliore della prima: stabilì, dovendo commentare comportamenti irrispettosi e indisciplinati degli studenti che è necessario umiliarli, gli studenti. Apriti cielo! Un teorico dell’umiliazione dei giovani ribelli non lo si era più visto a Viale Trastevere da chissà quanto tempo. Valditara fece rapida e poco originale retromarcia, affermando di essere stato frainteso (no, invece – aveva parlato proprio di “umiliazione”). Io l’avrei invece incoraggiato ad andare avanti: come pensava di umiliare gli studenti, attaccando loro le orecchie d’asino, facendoli inginocchiare sui ceci o cos’altro?
Ho iniziato dagli aspetti più “originali” di Valditara perché, quanto al resto, ci ha messo poco del suo. I molti soldi confluiti verso la scuola se ne sono andati e se ne andranno in acquisto di materiale tecnologico ad alta obsolescenza e di “arredi” per favorire un ambiente di apprendimento innovativo. Insomma, beati i produttori di computer e altro materiale informatico e di arredi “innovativi” di cui già la memorabile ministra Azzolina aveva dato esempio favorendo, in piena pandemia, l’acquisto di banchi con le rotelle (visto la nota indisciplina degli studenti, più che favorire l’apprendimento potrebbero favorire la trasformazione di un’aula in una pista da autoscontro). Intanto, mentre milioni e milioni di euro se ne vanno in questo modo, l’edilizia scolastica mostra le crepe, in senso letterale. Per informazioni dettagliate si può vedere il XXII rapporto di Legambiente sulle scuole (https://www.legambiente.it/wp-content/uploads/2023/01/Ecosistema-Scuola_2023.pdf). Ma in questo ambito Valditara non ha fatto nulla di diverso da Bianchi e Azzolina.
La stessa cosa si può dire rispetto alla discussa riforma di professionali e tecnici. Tale riforma, di cui si parla dai tempi di Prodi (almeno) parte da un falso ragionamento: la disoccupazione giovanile in Italia sarebbe legata al fatto che non esistono persone “formate” per le richieste del mercato del lavoro. Non è necessario essere marxisti ortodossi per svelare l’arcano: quando mai una sovrastruttura ha determinato gli esiti di una struttura? Il mercato del lavoro in Italia arranca per tutt’altre ragioni e non certo per l’inadeguatezza dei percorsi scolastici. C’è di più: la scuola deve formare giovani adulti ed il suo scopo primo non è l’orientamento al lavoro futuro. La riforma propugnata da Valditara (e prima di lui da Draghi e Bianchi, soltanto per citare i nomi più prossimi) vuole accentuare una divisione di classe già forte: da un lato i “liceali” che studiano per imparare e dall’altro i “tecnici-professionali” che imparano a lavorare. A questa deriva classista tutti gli insegnnati con un minimo di coscienza dovrebbero fare netta e dura opposizione. Per ora il flop è confermato dalle scarse preiscrizioni in quegli istituti che sono stati ammessi alla sperimentazione. Dunque, i professionali in Italia sono 1.448, i tecnici 2.029 e 171 sono i tecnici-professionali ammessi alla sperimentazione. Per Valditara “tutte le associazioni di categoria non solo hanno condiviso pienamente questa riforma, ma ci hanno chiesto di partire rapidamente perché il mondo della produzione ha un drammatico bisogno di competenze”. Peccato che la sperimentazione precedente fosse stata un flop totale e che i CSPI abbia espresso parere contrario a questa nuova, affrettata sperimentazione. Speriamo che anche quest’anno la superiore saggezza dei genitori faccia mancare i numeri di iscritti necessari perché la sperimentazione si avvii.
Valditara sia pure trionfante: «La nuova formazione tecnica e professionale, grazie all’alleanza tra scuola, territorio e impresa, garantirà ai nostri giovani una formazione di alto profilo e consentirà di ridurre il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro, offrendo maggiori opportunità di impiego e rendendo più competitivo il sistema produttivo». Da queste parole noi deduciamo soltanto una cosa e cioè il pieno asservimento della scuola all’azienda e l’adesione alla logica del profitto e della crescita infinita – cosa che fa di Valditara un personaggio assai criticabile. “Nella scuola attuale, per la crisi profonda della tradizione culturale e della concezione della vita e dell’uomo, si verifica un processo di progressiva degenerazione: le scuole di tipo professionale, cioè preoc cupate di soddisfare interessi pratici immediati, prendono il sopravvento sulla scuola formativa, immediatamente disinteressata. L’aspetto piú paradossale è che questo nuovo tipo di scuola appare e viene predicata come democratica, mentre invece essa non solo è destinata a perpetuare le differenze sociali, ma a cristallizzarle in forme cinesi”. Questo scriveva Gramsci, dal carcere in cui la dittatura fascista l’aveva buttato. Certo, non c’è merito nell’essere molto più intelligenti di un ministro qualsiasi: però colpisce la miopia e la servitù volontaria nei confronti dei padroni veri cui si riduce uno studioso di istituzioni romane, ancorché leghista.
L’ultimo rinnovo contrattuale? In linea con quello che, dopo quasi dieci anni, si chiuse con un guadagno netto medio per i lavoratori del 3,48%; adesso l’aumento medio previsto pare appena inferiore al 6%, che, considerando l’alta inflazione, fa bella concorrenza al 3,48%. Non aspettiamoci nulla da questo governo: l’ottica a “360°” di Meloni non comprende la scuola. Ricordiamoci da dove viene Valditara: tanti anni fa è stato il relatore della riforma epocale, quella di Gelmini che tolse alla scuola 8 miliardi di euro e 100.000 mila posti di lavoro; fu il più grande licenziamento di massa subito in un sol colpo dal Paese. Ecco chi era Valditara e chi è: uno strenuo difensore della scuola privata, un sostenitore di una scuola come avviamento al lavoro, subordinata ai veri padroni del vapore, coloro che detengono il potere economico, un timido (timido perché ci mette un attimo a dire che lo hanno frainteso) ma convinto sostenitore del merito, della disciplina e della repressione (vedi gli elogi al preside del liceo “Tasso” di Roma, che ha sostenuto il cinque in condotta e dieci giorni di sospensione per gli studenti che a dicembre scorso hanno occupato il liceo). E, alla fine, uno che non piace troppo nemmeno ai suoi, che lo hanno costretto a ritirare l’idea balzana di promuovere una commissione sull’ “Educazione alle relazioni” composta da una suora (Monia Alfieri), una attivista lgbt ed ex deputata del Pd non aliena dal protagonismo (Paola Concia) e una Avvocatessa dello Stato, da febbraio scorso coordinatrice del gruppo di lavoro sulle scuole paritarie presso il MIM, ex candidata nel 2018 per il Popolo della famiglia di Mario Adinolfi (Paola Zerman).
Il bizzarro trio non è piaciuto neppure al centro-destra, nonostante la schiacciante maggioranza reazionaria nella composizione della commissione (due su tre: ma anche sulla terza, nonostante la militanza lgbtq, avanzerei qualche dubbio). E il ministro Valditara, da quell’uomo saggio ma non proprio con la schiena dritta che è, si è detto “meglio lasciar perdere”.
Riusciranno i lavoratori della scuola e i cittadini italiani ad imporre il “vade retro” ai due scellerati progetti di riforma dei professionali-tecnici e di autonomia differenziata che incombono sulle nostre scuole? Quanto alle condizioni di lavoro e retributive, il milione di lavoratori della scuola non si illuda; non bastano analisi, anche molto più raffinate e dettagliate di questa, non bastano parole, anche più affilate e taglienti delle mie a smontare una tendenza chiara che procede da decenni. Ci vuole la mobilitazione e per mobilitarsi ci vuole conoscenza sorretta da giusta indignazione e la consapevolezza che, senza consenso nessun governo, nemmeno il più duro, può andare avanti.
E allora, coraggio! È ora di dire di no!