La drammatica situazione degli operatori sociali: intervista ad Anna, operatrice educativa
La pandemia ha reso drammaticamente evidenti le condizioni di sfruttamento in cui si trovano gli operatori sociali dei servizi pubblici esternalizzati. Tra questi, una delle categorie meno tutelate è quella degli operatori educativi e della comunicazione (OEPA, ex AEC) che quotidianamente aiutano e sostengono i bambini e i ragazzi disabili, affinché possano partecipare alle attività didattiche. Ne parliamo con Anna, operatrice OEPA , attivista della CUB Sanità di Roma e del Comitato Romano AEC.
Anna, in cosa consiste il vostro lavoro e com’è organizzato?
Il nostro lavoro, che viene svolto negli istituti scolastici con gli studenti con disabilità, principalmente consiste nel favorire il raggiungimento della maggiore autonomia possibile, di favorire la maggiore inclusione possibile e la più corretta e serena relazione sociale possibile con i pari e gli adulti. Mi piace definirci come il trattino d’unione tra gli studenti, gli insegnanti, i genitori. Ci occupiamo, a seconda della patologia, del disturbo o del bisogno del singolo studente, della loro crescita sociale, emotiva, fisica. Lavorare con gli studenti con disabilità ci insegna a guardare il mondo attraverso la loro visione, i loro limiti e le loro immense possibilità. Chi opera con la disabilità riesce a trovare soluzioni impensabili e fantasiose, che portano spesso a balzi in avanti incredibili. Siamo abituati a pensare e a considerare i limiti non come impedimenti ma come punti da superare, con i dovuti tempi e i dovuti modi. Ciò che più ci ferisce sono gli atteggiamenti compassionevoli e pregiudizievoli verso la diversità.
Il nostro lavoro non é facile, ma lo consideriamo tra i più utili al mondo e allo stesso tempo tra i meno considerati, meno pagati, meno tutelati del terzo settore. Siamo soci o dipendenti di cooperative sociali, le quali acquisiscono con appalti al ribasso, il nostro servizio dal Comune, con il conseguente impoverimento dei diritti di lavoratori e del servizio stesso. Siamo divisi, smembrati, in tanti municipi, tante cooperative in ogni municipio, tante scuole in ogni cooperativa. Per questo motivo non riusciamo non solo ad aggregarci come categoria, ma spesso nemmeno a conoscerci, anche quando lavoriamo prossimi. La divisione fa sì che ogni municipio e cooperativa abbia le proprie regole e un trattamento anche molto diverso nei confronti degli operatori, sia economico che di condizione di lavoro. Siamo sottoposti a continui e più o meno sotterranei ricatti da parte delle scuole, delle cooperative o delle amministrazioni. Viviamo con la continua sensazione di non poter sbagliare e questo provoca frustrazioni continue. Ci viene chiesta un’alta professionalità e un’alta formazione, proprio per il nostro ruolo, ma ci mantengono a un livello e a una paga bassissimi: c1 delle cooperative sociali a €8,35 lordi, che corrispondono a circa €7 netti. Tra l’altro ci viene imposto di pagare da soli la nostra formazione, sempre con la minaccia di perdere il posto se non lo facciamo.
L’emergenza sanitaria, che ha determinato la chiusura delle scuole, ha avuto gravi ripercussioni sul vostro lavoro, oltre che sul diritto allo studio dei bambini e ragazzi disabili. Com’è intervenuto il Comune di Roma? Come sono stati rimodulati i servizi?
Prima dell’arrivo della pandemia pensavamo che non era possibile peggiorare le nostre condizioni. Ci siamo sbagliati. Le scuole sono state chiuse il 5 Marzo e automaticamente il nostro stipendio é stato bloccato. Dato che siamo lavoratori esterni alla scuola, non abbiamo potuto partecipare alle lezioni da remoto e non abbiamo potuto ricevere la retribuzione. L’unica cosa possibile è stata avvalersi degli ammortizzatori sociali quali il FIS, che per inciso dobbiamo ancora ricevere, pur facendo presente all’Assessorato di competenza, affidato a Veronica Mammí, che i fondi previsti per il nostro servizio erano già in bilancio da dicembre 2019 e potevano essere utilizzati per noi operatori, anziché pesare ulteriormente sull’INPS. Abbiamo provato a farci ascoltare in ogni modo, ma l’unica genialità che è venuta alla mente a questi amministratori è stata quella di proporre ai genitori e alle scuole di mandarci a domicilio… Figurarsi! In piena pandemia avremmo dovuto spostarci di casa in casa, oltre allo snaturare completamente il nostro lavoro, nato per favorire e creare aggregazione. Non si poteva trasformare il nostro servizio in assistenza domiciliare in quanto quest’ultimo ha obiettivi molto diversi, né in didattica a domicilio in quanto a noi è preclusa la didattica, che spetta agli insegnanti. Menzione speciale meritano i 15 municipi di Roma, che avrebbero potuto agire, se non per il nostro, per il bene degli studenti, utilizzando i fondi già in bilancio, manovra consentita dall’assessora Mammì ma che se ne sono guardati bene, preferendo tenerci alla fame e riutilizzare quegli stessi soldi per altri, futuri, progetti. Tra un protocollo regionale, un decreto ministeriale e una direttiva comunale, siamo giunti quasi alla fine di maggio, senza che sostanzialmente sia cambiato nulla. Ci siamo resi conto che nessuna decisione si sia potuta prendere nell’immediato, ma le soluzioni date dal decreto ministeriale del 16 Marzo potevano essere applicate, se ci fosse stata la volontà politica. Invece l’assistenza scolastica a distanza non si è mai realmente verificata, tranne per alcuni municipi( 3-4 su 15)e nelle ultime due settimane di scuola. In una sferzata di generosità, infatti, i tre sindacati confederali hanno firmato un accordo in extremis con il Comune che riproponeva, anche se in casi estremi, udite udite, il supporto a domicilio, già rifiutato dai colleghi in precedenza. Questo ha fatto scatenare la fantasia degli assessori municipali, che hanno cominciato a proporre la domiciliare per tutti gli alunni disabili, indistintamente, nonché proposte di recupero delle ore non utilizzate in non ben precisati centri estivi, oltreché modalità miste: in parte a distanza, in parte a domicilio, in parte nei centri estivi, riproponendo in una situazione delicata come quella attuale uno sfruttamento del lavoratore come bestia da soma, sottoposto a ricatti ben più pesanti del solito, un inquinamento definitivo del rapporto tra genitori, studente e lavoratore e uno scarico completo della responsabilità della scuola e delle istituzioni riguardo gli alunni con disabilità. Insieme al nostro stipendio, non dimentichiamolo, hanno bloccato la possibilità e il diritto all’istruzione di studenti che già faticano nella scuola in presenza. Oltre agli studenti con disabilità non hanno usufruito della Dad (didattica a distanza ndr) il 61% dei bambini, chi per patologia, chi per condizioni economiche, chi per la logistica, dice uno studio dell’associazione S. Egidio, quindi quello di cui si parla è di una vera e propria discriminazione nei nostri riguardi e di quelli di una parte della società che per vari motivi non può accedere a strumenti alternativi alla didattica in presenza.
Quali sono le vostre rivendicazioni nella situazione d’emergenza e, più in generale, per quanto riguarda l’organizzazione del vostro servizio?
Siamo riusciti, con molta fatica, a unire tramite la creazione di un comitato, il Comitato Romano AEC, una grossa parte degli aec/oepa, per avviare un percorso di internalizzazione del servizio, che consentirebbe al personale già operante di ricevere un trattamento decente a livello retributivo e contrattuale, oltre a consentire un servizio migliore, non sottoposto alle leggi di un bilancio misero, ma un benessere e un supporto reale per gli studenti con difficoltà. In questo percorso siamo stati seguiti e incoraggiati da alcuni sindacati di base tra cui la Cub, che ci hanno aiutato a raccogliere 12.000 firme per una legge di iniziativa popolare che doveva essere discussa in consiglio comunale, percorso interrotto dalla proposta da parte dell’Amministrazione capitolina di una riapertura della figura, messa in esaurimento dalla giunta Alemanno, soluzione che per noi era molto più conveniente, perché saremmo entrati a far parte direttamente dei dipendenti comunali. A gennaio del 2020 abbiamo iniziato un tavolo tecnico con alcuni Assessori in cui sembrava che la re-internalizzazione del servizio di assistenza scolastica fosse prossima, anzi bastava preparare una semplice delibera da parte del consiglio comunale e in seguito organizzare un semplice “concorso” il cui titolo prevalente fosse l’anzianità di servizio anche in enti diversi da quelli comunali. A febbraio l’emergenza sanitaria ci ha imposto di rimandare per provvedere ad altre situazioni ben più urgenti, ma per contro ci siamo trovati a dover contestare quasi giornalmente le decisioni che ci riguardavano, come ho già detto. A questo punto sentiamo l’amministrazione molto distante dalle proposte iniziali…la delibera di sblocco della figura non ha bisogno di tempi così lunghi, si può scrivere e votare in breve tempo, e noi abbiamo pazientato anche troppo. Stiamo organizzando una serie di proteste. La prima in ordine di tempo sarà il 4 giugno, in cui inviteremo in piazza del Campidoglio varie associazioni e realtà cittadine per fare laboratori, teatro e quant’altro si potrà, all’aperto, in una sorta di città / scuola aperta a tutti. In quell’occasione chiederemo al Comune di prendere una decisione chiara per quello che riguarda la nostra richiesta.